martedì 16 marzo 2010

Da chi li violenta a chi vuole rubarli: ma cosa stiamo facendo ai bambini ?

Cosa stiamo facendo ai bambini? I bambini non appartengono a chi li fa ma a tutti, perché sono il futuro di una civiltà. I bambini siamo noi che vivremo di nuovo. Cosa stiamo facendo al nostro futuro?

Nelle economie galoppanti come India e Cina ci sono bambine a milioni uccise all’ottavo e nono mese di gravidanza o gettate via appena nate e poi calpestate per strada. Una strage infinitamente superiore a quelle del nazismo e del comunismo; eppure parlarne resta il privilegio di qualche intellettuale isolato. “Il Foglio” di Giuliano Ferrara grida inascoltato il suo orrore. E Adriano Sofri invoca: “Adottiamola a qualunque distanza, la bambina che il mondo non vuole…. Forse lei ce la farà a salvare il mondo che la bracca fin da prima della culla, fin dall'annuncio”.
In Medio Oriente i bambini sono sempre più spesso kamikaze di una causa che qualcuno ha scritto nel loro destino. Nei regimi islamici sono dei senzadiritti abbandonati nelle mani del padre.

Cose troppo lontane? Nel libero Occidente la sorda guerra contro il futuro prende altre sembianze; più varie, non meno feroci. A Pistoia una donna ucraina partorisce un bambino, lo soffoca con un fazzoletto in bocca, poi lo mette nella borsetta. La scoprono solo perché, borsa al braccio, va al pronto soccorso per un’emorragia interna. Quanti altri bambini che vivono per il tempo di morire, quanti altri ci sfuggono, nel water, nei cassonetti, nelle discariche?

La Costituzione, le leggi e le carte dell’infanzia dicono tante cose sui bambini. Nobili parole, sconosciute ai mendicanti che sbattono in strada piccoli con la mano tesa e gli occhi di chi è abituato ad essere scacciato come un cane. Nobili parole, sconosciute alle autorità che lasciano fare perché in fondo quelli sono i genitori. Nobili parole, senza suono per noi che neppure facciamo caso a quei cuccioli d’uomo ridotti a supplicarci; per noi che guardiamo distratti i neonati in braccio alle donne sui marciapiedi e non ci chiediamo mai perché dormano sempre, come fossero bambole di pezza.

In Inghilterra una clinica mette in vendita ovuli di donna, e dà anche la possibilità di sapere quanto la “donatrice” sia istruita, che lavoro faccia e di che razza sia. Fecondazione non solo assistita, quindi, ma anche guidata fino al buon esito finale. Coerentemente, a Milano un bimbo cerebroleso di tre mesi viene abbandonato davanti ad un ospedale. Speriamo sia cerebroleso abbastanza da non poterlo sapere mai.

Che cosa stiamo facendo ai bambini? La Repubblica italiana consente il divorzio. Ma non permette (non dovrebbe permettere) che sull’altare dei litigi tra adulti ci siano sempre i bambini. Negli ultimi dieci anni i figli “contesi” sono 1 milione e 400mila. L'Associazione degli avvocati matrimonialisti dice che “la contesa sull'affidamento è una ferita che continua a sanguinare… Le coppie italiane si contendono i figli come fossero oggetti da espropriare o, peggio, bottino di guerra... I gravi conflitti dei genitori stanno producendo disastri di tipo psicologico, morale e sociale a danno dei figli”.

Bambini. Bambini che giocano, ridono, piangono. Sono troppo vivi per chi addosso porta la morte. La cronaca ce li restituisce come lampi di una luce spenta di colpo. Tommaso Onofri ha i riccioli sporchi di terra e vuole la mamma. I due fratellini di Gravina scompaiono in un pozzo al centro della città ma nessuno vede e nessuno sente. Ad Erba, Rosa Bazzi spiega che odiava Azouz ed è per questo che ha tagliato la gola al suo bimbo di due anni.

Bambini. Discutiamo con indignazione degli zingari che pare li rubino. Noi siamo più educati. Mica li rubiamo: li compriamo, e non badiamo a spese. Le cronache parlano di ben 18mila euro per una bimba, sfornata 21 giorni prima da una donna rom e poi venduta, previa mediazione, ad una coppia italiana. La mediatrice aveva anche rilasciato ricevuta. E ad Haiti? Sulle rovine del terremoto, le “Iene” fanno vedere le scene di bambini prelevati come souvenir da portarsi a casa. Come non avessero una terra, dei parenti, delle leggi che li tutelano disciplinando le procedure di adozione.

Perché noi li amiamo, i bambini degli altri. Li vogliamo a tutti i costi. Però poi andiamo dove non costano nulla. In Thailandia, perché no? Lì non ci sono i ficcanaso che ci sono da noi. Lì un bambino è un fiore che si coglie, anzi si compra per strada o in una baracca. Gli pulisci il nasino, gli dai 5 euro e poi… ah, che bella l’Asia, e che bella l’infanzia!
Storie di “amore” malato, storie di grandi che ti usano e ti distruggono. Storie che accadono anche lì dove Dio aveva creato il rifugio dei più soli, dei più derelitti. Accadono anche in chiesa, negli orfanotrofi, negli istituti rivolti ad educare ed a proteggere. Oggi il Papa cattolico piange, e noi crediamo alle sue lacrime, alla sua forza di reagire e di cambiare. Ma crediamo anche alle lacrime di chi un giorno entrò in chiesa per trovare conforto e invece trovò una tonaca nera che si apriva.

Perché lo stiamo così ciecamente massacrando, il nostro futuro? Pensiamo che nessuno ci presenterà mai il conto delle merci costruite o cucite dai bambini per le nostre multinazionali? Pensiamo che il presente non finirà mai, e che i bambini comunque sono felici perché “fanno oh”?
Cosa stiamo facendo ai bambini? Forse solo nonna Assunta può dircelo. Dalle parti di Milano, lei attraversava la strada spingendo il carrozzino di suo nipote di 4 anni. Quando ha visto la sagoma gigante di un camion che li avvolgeva, nonna Assunta ha dimenticato di essere vecchia. Ha spinto in avanti il bambino con tutta la forza del mondo, forse gli ha dato l’ultimo sguardo con l’ultimo fiato di amore che aveva. Lei lo sapeva, cosa si fa ai bambini. Si amano. Si proteggono. Si salvano. Poi il camion se l’è portata via, in quel mondo dove i bambini sono gli angeli che furono un giorno.

(di Sergio Talamo)

lunedì 1 marzo 2010

E' UN ARRIVEDERCI, NON UN ADDIO...




Ciao Peppe,

non è retorica scrivere che ci mancherai tu , la tua umiltà , la tua ironia ma soprattutto il tuo grande amore per i bambini.

Sei stato un grande.